MARIA STOFFELLA FENDROS

Dopo regolari studi a Firenze sotto l’incisore Viviani ed a Venezia sotto Saetti (saranno i suoi maestri più ascoltati) ha cominciato a dipingere e, da allora, l’abbiamo seguita mostra dopo mostra e l’abbiamo vista sempre più liberarsi verso forme più liricamente audaci, restando fedele al fondo cromatico della sua sensibilità ed al suo lavoro di pittrice ed artista.

Nella Stoffella resta soprattutto l’impegno di dare colore alle proprie emozioni, di raffigurare gli oggetti ed i paesaggi dell’esperienza quotidiana, verso un bisogno di armonia e di bellezzache è anche un bisogno psicologico di liberazione e di affermazione.

Fattasi sempre più vicina ad esperienze che potrebbero apparire astratte, vediamo in esse rivivere le macchie e le intenzioni che già popolavano le sue tele figurative, è un mondo emozionale che si dispone ordinatamente, soprattutto nella ricerca di cromie modulate, ricche di accenti timbrici, di vibrazioni, di paesaggi proprio come in un contrappunto. L’oggettualità si ristruttura sotto la retina del pittore e, solo conoscendo da vicino questa artista, così legata alle vicissitudini del nostro tempo e così pronta alla protesta ed all’indignazione, ci si può rendere conto di come questo discorso non è solo “lirico”, ma anche “polemico”.

Come scrive Carlo Munari, l’osservatore più avvertito e scrupoloso sente che “il dipinto è ora modulato sul registro di una improvvisa felicità ed ora cadenzato sul filo di una malinconia penosa” . E potremmo anche dire che la felicità è solo una proposta e la malinconia -anche troppo- una presenza.

Sono questi i fatti che danno valore e sapore e lo vediamo spesso, soprattutto, nell’incisione,  ad una pittrice che sa rinchiudersi in un analisi esistenziale, senza prorompere come, oggi, spesso è anche troppo facile, nei toni della contestazione o d’altra arte, che è ancora peggio, in certa retorica neo-misticheggiante.

 

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