il gigante sconosciuto

 

Il gigante sconosciuto

Storie e segreti del Kangchenjunga, il terzo Ottomila

 

 

Autore: Stefano Ardito

Collana: Exploits

Editore: Corbaccio

ISBN 978-88-6700-080-7

Euro 19,90

Formato: 14 x 21 cm

Pagine: 304

 

Nelle competizioni tutti ricordano il primo, qualcuno tiene a mente il secondo, ma il terzo cade nell’oblio, non fa eccezione l’elenco degli 8.000: il primo è l’Everest e lo conoscono anche gli analfabeti, il K2, secondo per altitudine, è molto noto, sia perché è ricordato come la montagna degli Italiani che lo hanno conquistato ed esplorato fin dal tempo del Duca degli Abruzzi e poi il terzo… il Kangchenjunga, o Kangchenzonga, che se lo filano ben pochi… eppure con i suoi 8,596 metri è poco sotto il K2 e meno di 300 dal tetto del mondo…

Se si domanda chi sono i primi scalatori di Everest, tutti lo sanno e per amor di patria, si sanno anche quelli del K2, ma se si chiede di questa terza montagna? Pensiamo che la maggior parte degli intervistati tacerà e non saprà nominare i due inglesi George Band e Joe Brown, che nel 1955, solo due anni dopo l’Everest, per primi calcheranno la vetta del Kang, anzi si fermeranno a un metro da essa, come tutti gli altri salitori per rispetto alla montagna che per i buddisti del Sikkim, la regione in cui la montagna si erge, è sacra.

Forse essa è poco nominata perché ha una grafia difficile e sulla quale non c’è concordia e pure per la difficile pronuncia, provate a dire Everest o K2 poi Kangcenzongà, e l’accento dove lo mettiamo sulla a finale o prima? Non la si nomina e si aggira l’ostacolo.

Questa spettacolare e imponente montagna ha trovato finalmente un cantore in Stefano Ardito, che è uno dei più polivalente e fecondo di noi giornalisti di montagna: egli spazzia dalle molte guide escursionistiche degli Appennini e delle Alpi, alla saggistica e alla storia della montagna.

L’autore, da vero topo di biblioteca, ha ricercato, in modo puntuale e preciso, tutta la storia di questo massiccio, partendo dalle leggende locali, abbondante e interessanti , si è poi dedicato alla storia della sua esplorazione, scoprendo che uno dei pionieri arrivati ai suoi piedi è stato niente meno che l’arcinoto scrittore americano Mark Twain, descrive circa due secoli di ricerche e di tentativi, che, dopo la conquista citata, hanno visto protagonisti anche molti alpinisti italiani.

Un capitolo straordinario e stupendo è sicuramente quello dedicato a Nives Meroi e a suo marito Romano Benet: sul Kang Nives ha abbandonato la corsa ad essere la prima donna a salire tutti gli 8.000, ma ha inciso nella oncia cosa voglia dire la parola amore, perché sul Kang la Nives ha volontariamente fermato la sua gara alle vette, per conquistare quello che lei chiama il suo 15mo 8.000: la vittoria della vita per Romano e la sconfitta del terribile male che lo stava minando.

Tre salite, la prima abbandonata per soccorrere Romano attaccato dalla malattia, la seconda salita ma su una vetta più bassa e infine la terza vittoriosa!

Tra i protagonisti di questa montagna, oltre ai due inglesi primi salitori, troviamo gli italiani Messner, Martini e de Stefani, tra coloro che non sono tornati si ricordano la grande alpinista polacca Wanda Rutkiewicz e il francese Benoît Chamoux.

Questa è un’opera che non può mancare nello scaffale del vero appassionato di storia delle scalate alpine e della montagna in generale e non dimentichiamo che secondo gli studi di Aruga, Mantovani e Ratto, che hanno ipotizzato l’allargamento del numero degli 8.000 da 14 a 22, ben 3 vette degli 8 in aggiunta sono nella cresta sommitale del Kanchenjunga, che montagna imponente ed immensa…

 

Filippo Zolezzi

 

 

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